L'ultimo Angelo
Inviato: 01/04/2009, 20:11
L'ULTIMO ANGELO
di GIOVANNI ARPINO
(ho trovato questo racconto in un vecchissimo libro di Selezione del 1970...merita e fa riflettere)
Tom Twain è un astronauta di pattuglia ai confini galattici, un'umile sentinella di ronda per gli spazi siderali. Per questo « spazzino dei cieli», la vita, il servizio, consistono in un vuoto e arido tran tran quotidiano, che solo l'agognata licenza riuscirà a fargli dimenticare.
Sebbene sia un personaggio di un lontanissimo e imprecisato futuro, Tom Twain agisce e pensa con la mentalità tipica dell'uomo dei nostri giorni, e certo non immagina che il destino abbia in serbo per lui qualcosa di grosso. Invece, all'improvviso, si troverà di fronte a un fenomeno imprevedibile, che sconfina nel soprannaturale...
Era l'ora della sigaretta. Poteva concedersene, a norma di regolamento, solo due al giorno, ma Tom era ormai un vecchio pilota, la sua ubbidienza alle regole aveva aggiunto il giusto limite di scontrosità. Inoltre, dopo la solita colazione a base di arrosto d'alghe, come non fumare almeno un paio di oneste "Gauloises" l'una in fila all'altra, quelle vere, contrabbandate, non la paglia fornita dal governo?
Accese, distendendosi in pace contro lo schienale imbottito del posto-comandi. Era abituato al silenzio, non ricordava neppur più i tempi in cui aveva superato lo choc che provoca l'assoluta assenza di rumori nel vuoto celeste. Anzi, il silenzio lo aiutava a pensare al cane, al fucile, alla palude, alla ragazza dell'autunno prossimo, quando in vacanza avrebbe potuto camminare, annusare, dormire senza pillole, masticar carne
autentica. Cane, fucile, ragazza, palude: niente da dire su quanto il governo riservava ai suoi piloti spaziali durante il periodo di riposo...
La luce che gli scoppiò negli occhi, improvvisa, per poco non gli fece bruciare le dita che sostenevano la sigaretta. Era un punto luminoso appena percettibile, però drittissimo davanti a lui nel monotono nero dei cieli.
Sembrava immobile, ma Tom sapeva che anche lui poteva risultare immobile alla fonte di quella luce, semmai essa lo stesse osservando...
Bestemmiò tra i denti, più di sorpresa che di paura. Era al suo settecentocinquantatreesimo viaggio, ormai un lupo, un anziano del reggimento delle guardie spaziali. Il suo lavoro consisteva in un centinaio di orbite da compiere lungo un settore al limite della galassia: "Siamo più che altro degli spazzini che vanno su e giù e neppure raccattano un bidone" s'era detto spesso, ed ecco che qualcosa si faceva vivo davanti a lui, per ora un punto di luce, ma tra poco, forse...
Settecentocinquantatré viaggi, quasi un record per una guardia spaziale: un
migliaio di altri suoi colleghi, con un migliaio di altri veicoli come il suo, da dieci anni pattugliavano ai limiti della galassia, e i loro diari di bordo, tutt'insieme, non contenevano una notizia degna del più stupido giornale di provincia. E adesso, a lui, proprio a lui, Tom Twain, quella luce davanti.
Staccò la guida automatica e si tenne pronto a compiere una leggera deviazione. O avrebbe fatto meglio a oscillare? A fermarsi? Sentì comunque che, mutando anche di pochissimo la rotta, avrebbe costretto quel "qualcosa" a inventare anche lui una mossa.
«Non fare il cretino, Tom» gli disse seccamente negli orecchi la voce del capitano Ivan Ilic dalla piattaforma spaziale sublunare.
« Non faccio il cretino. Mi chiamo Tom Twain, il mio veicolo porta il numero 2209/S, sono alla tredicesima orbita di questo pattugliamento e mentre tutti voi ve la spassate a due passi dalla base lunare, ho qui davanti una luce. Che faccio?»
Per un lunghissimo secondo sentì soltanto il lieve crepitio dell'apparecchio ricevente che gli ronzava nel cranio. Poi la voce del capitano, annoiata. « Senti, Twain, sei sicuro che non sia una "quasar"? Sai, uno di quegli oggetti luminosissimi, ma enormemente distanti, che si trovano negli spazi intergalattici?»
« Giuro di no s'arrabbiò subito Tom. Si muove, mi viene incontro. E poi l'apparecchio per gli ultravioletti non l'ha ancora segnalata, come fa sempre con le "quasars". Che faccio, capitano?»
« Hai captato radio-onde? Sai che le "quasars"...»
« Le dico di no, capitano Ilic. Niente radio-onde. Lo so anch'io che le "quasars" si rivelano così.»
« Senti, Twain, se vuoi scherzare...»
« Macché scherzo! Lo interruppe furioso Tom. Adesso la luce si è molto avvicinata. Senta, capitano, io direi di deviare di due gradi, almeno per capire se sono stato avvistato. D'accordo?» « Dico, Tom... Ah, certo, generale. Aspetta, Tom, ti passo il generale Custer...»
Ma qui il crepitio della radio cessò. Perduto il contatto, Tom quasi ebbe un respiro di sollievo. Non si fidava affatto di quei professorucoli a due metri dalla luna, capacissimi di pescarti un buon whisky di contrabbando durante le loro maledette ispezioni, ma del tutto inutili in situazioni di emergenza.
Deviò piegando appena e raddrizzandosi quando vide apparire nell'angolo dell'occhio le tracce luminose della sua scia. Subito anche la luce davanti piegò, riprendendo poi posizione, dritta di fronte al suo naso. Come se la manovra che ho fatto me la fossi vista riflessa in uno specchio, pensò Tom Twain: e allora dato che lo specchio non c'è, quel qualcosa esiste, mi ha avvistato, è deciso a coordinarsi secondo quel che faccio io, e più o meno ci si troverà a due passi, tra poco.
Il lieve sudore che gli colava sulle palpebre non poteva essere più fastidioso. Tra un minuto al massimo saremo muso a muso, riuscì a connettere Tom: e allora?
Senza accorgersene, provò a scuotere l'apparecchio radio. Inservibile davvero. Chissà quel generale Custer alla piattaforma spaziale...
E Tom Twain immaginò lo stato di pre-allarme, l'ordine di tenersi pronti impartito ai piloti dei grandi missili-protettori, che avrebbero potuto raggiungerlo in brevissimo tempo. Ma tutto questo gli si appannava nel cervello come ghirigori insignificanti, la sua attenzione era ormai concentrata sul punto luminoso che ingrandiva, sfumando nei contorni. Una
palla di gas, ecco cosa sembrava, e procedeva silenziosa, a fatica forzando il nero compatto dei cieli, via via rendendo più solido il suo bagliore.
Basta, s'accasciò di colpo Tom, arrestando il motore, e lì fermo, con due grosse lacrime di sudore che gli scendevano lungo il naso, rimase a guardare.
Anche quella luce parve improvvisamente arrestarsi, oscillò, ora il suo fuoco gassoso roteava su se stesso, come punta impegnata a trapanare il buio. Poi riprese la corsa. Tom si asciugò con rabbia la fronte e le palpebre, sentendosi prigioniero del calore che gli ribolliva dentro la tuta. Gli stracci di pensieri che gli ingolfavano il cranio non potevano essergli di aiuto.
Con uno sforzo enorme di concentrazione, riuscì a trarre un lungo respiro e insieme ad alleggerirsi d'ogni inutile congettura. Si lasciò andare contro il sedile, in attesa.
« Sono Michele.» disse la voce, sillabando. Una carezza di voce, ma che gli
si rigirò nel sangue aumentandone il calore fino a renderlo insopportabile.
«Michele. Michele che ti sta parlando.» ripeté la voce.
Veniva da dentro di lui, dal suo stesso corpo, scendendogli dal cervello, eppure suonava alta, chiara, esterna, come se lui e quell'altro stessero pacificamente parlando, soli, su una spiaggia deserta.
« Rispondi a me che ti chiamo. Rispondi a Michele » accarezzò ancora la voce. Sembrava ridesse, tant'era lieta, precisa, concretamente vicina e di conforto. Ma invano Tom Twain cercò di schiudere le labbra disseccate.
« Così come mi vedi, ti sono amico. Sono incapace di male. Dimmi il tuo nome invitò la voce. « Non sono onnisciente. Posso parlarti, farmi udire da te, ma non posso sapere chi sei. Dimmi se sei uomo o altra specie. »
« Uomo. Sì.» Tom Twain sillabò finalmente tra i denti: « il mio nome. Tom Twain. E già: sono un uomo.»
« Dio sia ringraziato e possa accoglierti in gloria. Io sono Michele, uno dei suoi arcangeli. Non credevo più di riuscire in questa impresa, e incontrare l'uomo. Da migliaia di anni giro i cieli, e oggi ho raggiunto questa gioia » rise la voce apertamente e il colore di quella luce davanti al muso del suo veicolo parve a Tom accendersi ancora di più.
Devo parlare con la base, devo parlare col capitano, col generale, devono togliermi subito di qui, si perdeva Tom in mille convulsioni mentali.
continua
di GIOVANNI ARPINO
(ho trovato questo racconto in un vecchissimo libro di Selezione del 1970...merita e fa riflettere)
Tom Twain è un astronauta di pattuglia ai confini galattici, un'umile sentinella di ronda per gli spazi siderali. Per questo « spazzino dei cieli», la vita, il servizio, consistono in un vuoto e arido tran tran quotidiano, che solo l'agognata licenza riuscirà a fargli dimenticare.
Sebbene sia un personaggio di un lontanissimo e imprecisato futuro, Tom Twain agisce e pensa con la mentalità tipica dell'uomo dei nostri giorni, e certo non immagina che il destino abbia in serbo per lui qualcosa di grosso. Invece, all'improvviso, si troverà di fronte a un fenomeno imprevedibile, che sconfina nel soprannaturale...
Era l'ora della sigaretta. Poteva concedersene, a norma di regolamento, solo due al giorno, ma Tom era ormai un vecchio pilota, la sua ubbidienza alle regole aveva aggiunto il giusto limite di scontrosità. Inoltre, dopo la solita colazione a base di arrosto d'alghe, come non fumare almeno un paio di oneste "Gauloises" l'una in fila all'altra, quelle vere, contrabbandate, non la paglia fornita dal governo?
Accese, distendendosi in pace contro lo schienale imbottito del posto-comandi. Era abituato al silenzio, non ricordava neppur più i tempi in cui aveva superato lo choc che provoca l'assoluta assenza di rumori nel vuoto celeste. Anzi, il silenzio lo aiutava a pensare al cane, al fucile, alla palude, alla ragazza dell'autunno prossimo, quando in vacanza avrebbe potuto camminare, annusare, dormire senza pillole, masticar carne
autentica. Cane, fucile, ragazza, palude: niente da dire su quanto il governo riservava ai suoi piloti spaziali durante il periodo di riposo...
La luce che gli scoppiò negli occhi, improvvisa, per poco non gli fece bruciare le dita che sostenevano la sigaretta. Era un punto luminoso appena percettibile, però drittissimo davanti a lui nel monotono nero dei cieli.
Sembrava immobile, ma Tom sapeva che anche lui poteva risultare immobile alla fonte di quella luce, semmai essa lo stesse osservando...
Bestemmiò tra i denti, più di sorpresa che di paura. Era al suo settecentocinquantatreesimo viaggio, ormai un lupo, un anziano del reggimento delle guardie spaziali. Il suo lavoro consisteva in un centinaio di orbite da compiere lungo un settore al limite della galassia: "Siamo più che altro degli spazzini che vanno su e giù e neppure raccattano un bidone" s'era detto spesso, ed ecco che qualcosa si faceva vivo davanti a lui, per ora un punto di luce, ma tra poco, forse...
Settecentocinquantatré viaggi, quasi un record per una guardia spaziale: un
migliaio di altri suoi colleghi, con un migliaio di altri veicoli come il suo, da dieci anni pattugliavano ai limiti della galassia, e i loro diari di bordo, tutt'insieme, non contenevano una notizia degna del più stupido giornale di provincia. E adesso, a lui, proprio a lui, Tom Twain, quella luce davanti.
Staccò la guida automatica e si tenne pronto a compiere una leggera deviazione. O avrebbe fatto meglio a oscillare? A fermarsi? Sentì comunque che, mutando anche di pochissimo la rotta, avrebbe costretto quel "qualcosa" a inventare anche lui una mossa.
«Non fare il cretino, Tom» gli disse seccamente negli orecchi la voce del capitano Ivan Ilic dalla piattaforma spaziale sublunare.
« Non faccio il cretino. Mi chiamo Tom Twain, il mio veicolo porta il numero 2209/S, sono alla tredicesima orbita di questo pattugliamento e mentre tutti voi ve la spassate a due passi dalla base lunare, ho qui davanti una luce. Che faccio?»
Per un lunghissimo secondo sentì soltanto il lieve crepitio dell'apparecchio ricevente che gli ronzava nel cranio. Poi la voce del capitano, annoiata. « Senti, Twain, sei sicuro che non sia una "quasar"? Sai, uno di quegli oggetti luminosissimi, ma enormemente distanti, che si trovano negli spazi intergalattici?»
« Giuro di no s'arrabbiò subito Tom. Si muove, mi viene incontro. E poi l'apparecchio per gli ultravioletti non l'ha ancora segnalata, come fa sempre con le "quasars". Che faccio, capitano?»
« Hai captato radio-onde? Sai che le "quasars"...»
« Le dico di no, capitano Ilic. Niente radio-onde. Lo so anch'io che le "quasars" si rivelano così.»
« Senti, Twain, se vuoi scherzare...»
« Macché scherzo! Lo interruppe furioso Tom. Adesso la luce si è molto avvicinata. Senta, capitano, io direi di deviare di due gradi, almeno per capire se sono stato avvistato. D'accordo?» « Dico, Tom... Ah, certo, generale. Aspetta, Tom, ti passo il generale Custer...»
Ma qui il crepitio della radio cessò. Perduto il contatto, Tom quasi ebbe un respiro di sollievo. Non si fidava affatto di quei professorucoli a due metri dalla luna, capacissimi di pescarti un buon whisky di contrabbando durante le loro maledette ispezioni, ma del tutto inutili in situazioni di emergenza.
Deviò piegando appena e raddrizzandosi quando vide apparire nell'angolo dell'occhio le tracce luminose della sua scia. Subito anche la luce davanti piegò, riprendendo poi posizione, dritta di fronte al suo naso. Come se la manovra che ho fatto me la fossi vista riflessa in uno specchio, pensò Tom Twain: e allora dato che lo specchio non c'è, quel qualcosa esiste, mi ha avvistato, è deciso a coordinarsi secondo quel che faccio io, e più o meno ci si troverà a due passi, tra poco.
Il lieve sudore che gli colava sulle palpebre non poteva essere più fastidioso. Tra un minuto al massimo saremo muso a muso, riuscì a connettere Tom: e allora?
Senza accorgersene, provò a scuotere l'apparecchio radio. Inservibile davvero. Chissà quel generale Custer alla piattaforma spaziale...
E Tom Twain immaginò lo stato di pre-allarme, l'ordine di tenersi pronti impartito ai piloti dei grandi missili-protettori, che avrebbero potuto raggiungerlo in brevissimo tempo. Ma tutto questo gli si appannava nel cervello come ghirigori insignificanti, la sua attenzione era ormai concentrata sul punto luminoso che ingrandiva, sfumando nei contorni. Una
palla di gas, ecco cosa sembrava, e procedeva silenziosa, a fatica forzando il nero compatto dei cieli, via via rendendo più solido il suo bagliore.
Basta, s'accasciò di colpo Tom, arrestando il motore, e lì fermo, con due grosse lacrime di sudore che gli scendevano lungo il naso, rimase a guardare.
Anche quella luce parve improvvisamente arrestarsi, oscillò, ora il suo fuoco gassoso roteava su se stesso, come punta impegnata a trapanare il buio. Poi riprese la corsa. Tom si asciugò con rabbia la fronte e le palpebre, sentendosi prigioniero del calore che gli ribolliva dentro la tuta. Gli stracci di pensieri che gli ingolfavano il cranio non potevano essergli di aiuto.
Con uno sforzo enorme di concentrazione, riuscì a trarre un lungo respiro e insieme ad alleggerirsi d'ogni inutile congettura. Si lasciò andare contro il sedile, in attesa.
« Sono Michele.» disse la voce, sillabando. Una carezza di voce, ma che gli
si rigirò nel sangue aumentandone il calore fino a renderlo insopportabile.
«Michele. Michele che ti sta parlando.» ripeté la voce.
Veniva da dentro di lui, dal suo stesso corpo, scendendogli dal cervello, eppure suonava alta, chiara, esterna, come se lui e quell'altro stessero pacificamente parlando, soli, su una spiaggia deserta.
« Rispondi a me che ti chiamo. Rispondi a Michele » accarezzò ancora la voce. Sembrava ridesse, tant'era lieta, precisa, concretamente vicina e di conforto. Ma invano Tom Twain cercò di schiudere le labbra disseccate.
« Così come mi vedi, ti sono amico. Sono incapace di male. Dimmi il tuo nome invitò la voce. « Non sono onnisciente. Posso parlarti, farmi udire da te, ma non posso sapere chi sei. Dimmi se sei uomo o altra specie. »
« Uomo. Sì.» Tom Twain sillabò finalmente tra i denti: « il mio nome. Tom Twain. E già: sono un uomo.»
« Dio sia ringraziato e possa accoglierti in gloria. Io sono Michele, uno dei suoi arcangeli. Non credevo più di riuscire in questa impresa, e incontrare l'uomo. Da migliaia di anni giro i cieli, e oggi ho raggiunto questa gioia » rise la voce apertamente e il colore di quella luce davanti al muso del suo veicolo parve a Tom accendersi ancora di più.
Devo parlare con la base, devo parlare col capitano, col generale, devono togliermi subito di qui, si perdeva Tom in mille convulsioni mentali.
continua