Messaggioda Oliviero Angelo » 19/06/2011, 11:26
DOMANDA: "Molto spesso abbiamo la sensazione che siamo noi stessi a creare le nostre sofferenze. Perché, nonostante ciò, continuiamo a crearle? Inoltre: come e quando è possibile smettere di creare la propria sofferenza?"
La prima, importantissima cosa da comprendere, è che quando dici: "Molto spesso abbiamo la sensazione che siamo noi stessi a creare le nostre sofferenze", non è vero. Non è vero. Non hai mai davvero la sensazione di essere il creatore della tua sofferenza. Forse lo pensi perché ti è stato insegnato. Infatti, per secoli e secoli, gli insegnanti hanno detto che tu sei il creatore delle tuie sofferenze, e che nessun altro è responsabile.
Hai letto e ascoltato queste cose. Sono diventate parte del tuo sangue e delle tue ossa, si sono trasformate nel tuo condizionamento inconscio, per cui talvolta ripeti come un pappagallo: "Siamo noi stessi a creare le nostre sofferenze". Ma questa non è la tua sensazione, la tua reale convinzione; infatti, se l'avessi compreso, non potresti chiedere: "Perché, nonostante ciò, continuiamo a crearle?"
Se davvero sentissi di essere il creatore della tua sofferenza, in qualsiasi momento potresti interrompere quel meccanismo... A meno che tu non voglia crearle, che tu non ti ci diverta, che tu non sia un masochista. In tal caso, andrebbe tutto bene, non ci sarebbero problemi. Se dici: "Mi piace soffrire", va bene; puoi continuare a creare la tua sofferenza. Ma se dici: "Soffro e voglio trascendere; voglio farla finita completamente. Eppure capisco che sono io il creatore", ti stai sbagliando. Non capisci affatto.
Si dice che Socrate abbia affermato che la conoscenza è virtù. E in questi duemila anni si è molto discusso se egli abbia torto o ragione. Socrate afferma che, se conosci qualcosa, non puoi agire in modo contrario a essa.
Se sai che la rabbia è sofferenza, non puoi arrabbiarti. Ecco cosa intende Socrate quando afferma: "La conoscenza è virtù".
Non puoi dire: "So che la rabbia è male, tuttavia ci ricado continuamente. Cosa faccio adesso?". Socrate afferma che la prima parte della preposizione è sbagliata. Non sai che la rabbia è male: ecco perché ci ricadi. Se lo sapessi, non potrebbe succedere. Come puoi muoverti in direzione opposta alla tua conoscenza?
Io so che se metto la mano nel fuoco, mi farò male. Se lo so, non posso farlo. Solo se fosse stato qualcun altro a dirmelo, se lo avessi sentito attraverso la tradizione, se avessi letto nelle scritture che il fuoco brucia, ma non avessi mai fatto esperienza del fuoco o di qualcosa di simile, solo allora potrei mettere la mano nel fuoco. E anche in quel caso, solo per una volta.
Riesci a immaginarlo? Metti la mano nel fuoco, ti bruci, soffri, ma poi chiedi ancora: "So che il fuoco brucia, ma continuo a mettere la mano nel fuoco. Che ci posso fare?".
Chi crederà alla tua conoscenza? E che razza di conoscenza sarebbe questa? Se nemmeno la tua esperienza del fuoco e della bruciatura è in grado di fermarti, nulla può farlo; è impossibile, perché hai mancato l'ultima possibilità. Ma nessuno può mancarla; non è possibile.
Socrate ha ragione, e tutti coloro che sanno concorderanno con lui. Tale accordo ha un motivo molto profondo. Una volta che sai... ma ricorda: la conoscenza deve essere tua. Un sapere preso in prestito non sarà d'aiuto; è inutile. Se l'esperienza non è tua, non ti cambierà. Le esperienze degli altri non sono d'aiuto.
Hai sentito dire che sei il creatore della tua sofferenza, ma questa idea è solo nella mente. Non è entrato nel tuo essere, non è la tua conoscenza. Quando discuti, puoi discutere cerebralmente, ma quando accadrà il fenomeno autentico, te ne dimenticherai e ti comporterai nel modo che conosci tu, non in quello che conoscono gli altri.
Quando sei a tuo agio, freddo e distaccato, puoi discutere pacatamente della rabbia, definendola "veleno", "malattia" e "male". Ma quando qualcuno ti fa arrabbiare, si verifica un cambiamento totale. A quel punto non si tratta più di una discussione intellettuale: sei coinvolto. E non appena ti coinvolgi, ti arrabbi. In seguito, ripensandoci, quando ti sarai raffreddato, la memoria sarà tornata e la tua mente funzionerà di nuovo, dirai: "Ho sbagliato; non ho fatto bene a comportarmi così. So che la rabbia è sbagliata".
Chi è questo "io"? E' solo l'intelletto, la mente superficiale. Tu non sai. Infatti, quando qualcuno provoca la tua rabbia, metti da parte questa mente: è utile per le discussioni, ma quando si verifica una situazione autentica, serve solo la vera conoscenza. Se la situazione non c'è, puoi procedere tranquiillamente... Anche in una discussione può presentarsi la situazione autentica. L'altro può contraddirti al punto da farti arrabbiare e farti dimenticare ogni cosa.
La conoscenza autentica è ciò che ti è accaduto. Non è qualcosa che hai letto o di cui hai sentito parlare; non hai raccolto informazioni al riguardo. E' la tua esperienza. A quel punto la questione non si pone, perché non puoi più andare contro di essa. Non è che dovrai fare uno sforzo per non andare contro la tua esperienza; semplicemente non potrai farlo.
Come posso? Se so che questo è un muro e voglio uscire da questa stanza, come posso cercare di attraversarlo? Poiché so che è un muro, cercherò la porta. Solo un cieco cercherà di attraversare il muro. Io ho gli occhi; vedo qual'è il muro e qual è la porta.
Ma se cercassi di entrare nel muro e ti dicessi: "So benissimo dove sta la porta, e so che questo è un muro. Ciononostante, come posso trattenermi dal cercare di entrare nel muro?", vorrebbe dire che, per me, quella porta sembra falsa. Gli altri mi hanno detto che questo è un muro, ma per quanto vedo io, la porta sta in questo muro e quindi cerco di entrarci.
In questa situazione devi fare una netta distinzione tra ciò che sai e ciò che hai raccolto come sapere. Non fare affidamento sulle tue informazioni. Anche se proviene dalla fonte più autorevole, un'informazione resta un'informazione. Anche se è un Buddha a dirtelo, non è qualcosa di tuo e non può aiutarti in alcun modo. Ma puoi continuare a pensare che sia la tua conoscenza, e per questo fraintendimento sprecherai la tua energia, il tuo tempo e la tua vita.
La cosa fondamentale non è chiedere cosa fare per non creare sofferenza; è sapere che sei il creatore della tua sofferenza. La prossima volta che si presenta una situazione autentica e stai soffrendo, ricordati di scoprire se ne sei la causa. E se riesci a scoprire che ne sei la causa, la sofferenza scomparirà e non emergerà più: è impossibile.
Ma non ingannare te stesso. Puoi farlo: per questo lo dico. Quando soffri, puoi dire: "Certo, so di aver creato questa sofferenza", ma in profondità sai che l'ha creata qualcun altro. L'ha creata tua moglie, tuo marito, qualcun altro, e questa è solo una consolazione, perché non puoi farci nulla. Ti consoli: "Non l'ha creata nessuno, l'ho creata da solo. E, a poco a poco, la fermerò".
Ma la conoscenza è trasformazione istantanea: non esiste alcun "a poco a poco". Se capisci di averla creata, cadrà immediatamente. Né tornerà mai più. Se lo facesse, vorrebbe dire che la comprensione non è scesa in profondità.
Per cui non occorre scoprire cosa fare o come fermare la sofferenza. L'unica necessità è andare in profondità e scoprire chi ne è davvero la causa. Se la causa sono gli altri, non è possibile fermarla, perché non puoi cambiare il mondo intero. Solo se ne sei tu la causa, può essere fermata.
Ecco perché insisto sul fatto che solo la religione può condurre l'umanità verso l'assenza di sofferenza. Nient'altro può farlo, perché tutti credono che la sofferenza sia provocata dagli altri; solo la religione sostiene che la sofferenza è provocata da te. Quindi la religione fa di te il padrone del tuo destino. Tu sei la causa della tua sofferenza, quindi puoi essere la causa della tua estasi.
da: "I segreti della gioia", Osho
"Non nobis Domine, non nobis, sed nomine Tuo da gloriam"Gladius Lucis 
