IL RILASCIO DEL DOLORE ATTRAVERSO LA BENEDIZIONE
(da “ La Scienza perduta della preghiera” di Gregg Braden)
CHE COS'È LA BENEDIZIONE
La benedizione può essere definita come una qualità di pensiero / sentimento / emozione, che ci permette di ridefinire ciò che proviamo rispetto a qualcosa che ci sta ancora facendo soffrire o che ci ha fatto soffrire in passato. In altre parole, benedire talvolta agisce come un “lubrificante” liberando il dolore che proviamo e permettendoci così di accogliere una guarigione più ampia, anziché trattenere nel corpo fisico le emozioni bloccate non risolte. Per rilasciare le nostre emozioni, dobbiamo riconoscere (benedire) tutti gli aspetti di ciò che ci ferisce: chi soffre, la causa della sofferenza e i testimoni delle sue conseguenze.
Quando benediciamo chi ci ha feriti, non stiamo né giustificando l’accaduto, né segnalando il desiderio che l’evento si ripeta. La benedizione non giustifica né scusa in alcun modo nessuna atrocità o atto che infligga sofferenza. Non appone sigilli di approvazione sugli eventi dolorosi, né tanto meno indica che sceglieremmo di rifare una data esperienza.
Il ruolo vero della benedizione è quello di liberarci dalle nostre esperienze dolorose, permettendoci di comprendere profondamente che tali eventi, qualunque essi fossero, fanno ormai parte del passato. Quando ciò si verifica, noi permettiamo ai sentimenti collegati a quelle esperienze di fluire attraverso l’organismo, anziché restare bloccati al suo interno. In tal modo, benedire rappresenta la chiave per raggiungere quel luogo situato al di là delle azioni giuste o sbagliate. La benedizione è la chiave di accesso allo spazio intermedio poiché sospende il dolore che proviamo, per il tempo necessario a sostituirlo con un’altra emozione.
Attraverso l’atto di benedire, ci assumiamo il potere di lasciare andare le ferite più profonde e i sentimenti non risolti della vita. La benedizione raggiunge questo risultato senza il bisogno né di risalire all’origine di quei sentimenti e di rivivere mille volte quel dolore per studiarlo a fondo, né di imbarcarsi nella ricerca infinita del perché le cose siano andate proprio così. Un singolo atto di benedizione è sufficiente a darci il potere di cambiare la nostra vita, e lo fa in un battito del cuore! Quando siamo nella posizione di fare delle scelte e di formulare le nostre preghiere da un luogo interiore fatto di forza e chiarezza, anziché dalla condizione di debolezza, che caratterizza gli stati di rabbia e dolore, comincia a succedere qualcosa di splendido.
Vi sembra troppo semplice per poter funzionare? Uno strumento così potente può essere facile o difficile, a seconda di come noi lo concepiamo. La ragione per cui benedire rappresenta un atto talmente efficace è facilmente comprensibile: è impossibile giudicare qualcosa e nello stesso tempo benedirla. La mente umana non ci permette di fare entrambe le cose simultaneamente.
Vi invito a provare il processo di benedizione seguendo le istruzioni che troverete qui di seguito. Pensate a una persona, un luogo o un’esperienza del passato che vi ha feriti e poi applicate le istruzioni. Probabilmente resterete sorpresi dal potere, dall'efficacia e dalla semplicità dell’antico segreto della benedizione.
PRIMA DI POTER BENEDIRE …
C’è però un prerequisito da osservare, prima di poter fare un atto di benedizione. Per prepararvi ad accogliere quel gesto nella vostra vita, bisogna rispondere sinceramente e onestamente a una domanda. Questo vi aiuterà a individuare meglio i condizionamenti che avete rispetto a ciò che è “giusto” e “sbagliato” nella vostra esperienza di vita.
La domanda da porsi è la seguente: “Accetto di andare oltre la relazione viscerale o la vecchia convinzione che “qualcuno deve pagare” o che “devo pareggiare i conti” per cancellare un torto che ho subito?
In altre parole, siete pronti ad andare al di là del modo di pensare che giustifica l’atto di ferire qualcuno perché quella persona a sua volta vi ha feriti?
Se la vostra risposta è “sì” allora la benedizione fa per voi e raccoglierete i suoi frutti! Se al contrario la risposta è “no” dovrete imboccare una strada che vi aiuti a comprendere perché continuate a scegliere di aggrapparvi a una convinzione che vi tiene prigionieri della ferita da cui scaturisce proprio quella sofferenza che state cercando di guarire.
Chiaramente le risposte a questa domanda non sono né giuste né sbagliate. Vanno solo intese come strumenti che vi aiutano a raggiungere la massima trasparenza rispetto ai vostri processi di pensiero e a cosa sperate di raggiungere attraverso le vostre convinzioni.
UN’ANTICA CHIAVE
Sebbene l’atto di benedire possa apparire in diretto contrasto con le credenze di talune tradizioni, è anche strettamente in linea con gli insegnamenti di alcuni grandi maestri spirituali del passato. Ho verificato personalmente che contiene una chiave per raggiungere la forma più profonda di guarigione, nel più breve tempo possibile .
I testi spirituali occidentali che custodivano gran parte delle conoscenze relative alla benedizione furono riveduti o, in taluni casi, completamente eliminati. Oggi ci restano solo notizie sparse di antiche tecniche conservate nei libri “perduti” della Bibbia che sono stati recuperati a metà del XX secolo. E’ interessante notare come una delle migliori descrizioni del potere del non giudicare rappresenti anche una delle più controverse; si tratta del Vangelo di Tommaso, ritrovato all'interno della Biblioteca di Nag Hammadi nel 1945.
Il punto cruciale di questa parte del Vangelo è un resoconto delle idee espresse da Gesù nella cerchia dei suoi conoscenti nell'arco della sua vita. Qui ritroviamo la cronaca di una conversazione che egli ebbe con i suoi discepoli riguardo ai segreti della vita, della morte e dell’immortalità. In risposta a una domanda su cosa ci riserva il destino ultimo dell’essere umano, Gesù inizia introducendo il concetto di “alberi” dell’esistenza umana, attributi della vita che si presentano costanti e duraturi. Egli afferma che “chiunque impari a conoscerli [gli alberi] non sperimenterà la morte”. Una delle chiavi per raggiungere questo risultato è liberarsi dal giudizio.
Con la nota eleganza che spesso ritroviamo nella vera saggezza, Gesù descrive lo stato di coscienza neutrale, istruendo i discepoli su cosa devono fare per entrare nel luogo dell’immortalità, che definisce “il regno”
“Quando renderete singolo il due – esordisce – se renderete il dentro come il fuori e il fuori come il dentro, e ciò che sta in alto come ciò che sta in basso, e quando renderete il maschile e il femminile una stessa cosa … allora voi entrerete nel regno”. Il concetto che egli esprime si chiarisce da sé.
Solo quando riusciamo a vedere al di là della diversità che cade sotto il nostro giudizio - cioè solo quando dissolviamo la polarità che ha mantenuto separate le cose in passato – possiamo creare in noi quello stato dell’essere dove “non sperimenteremo la morte”. Quando nella nostra esperienza di vita riusciremo ad andare oltre il concetto di giusto e sbagliato, di bene e male, ritroveremo il nostro massimo potere di elevarci al di sopra di ciò che ci ha feriti. Anche se, da un lato, la mente sa che ciò che ci ha fatto soffrire permane, d’altro lato è il sentimento che proviamo nell'anima a stabilire una comunicazione col Campo della mente di Dio … ed a creare.
Nella sua veste di insegnante e di guaritore, Gesù ci ha indicato come trascendere le ferite umane attraverso la saggezza del cuore. Sebbene altri insegnamenti propongano altre tecniche simili, quelle descritte da Gesù restano forse le più chiare e concise. La trattazione che segue sviluppa il funzionamento del processo di benedizione trasmesso da Gesù, ricostruendolo a partire dai suoi insegnamenti e da varie altre fonti.
LE ISTRUZIONI
Nelle traduzioni bibliche occidentali ci viene semplicemente detto di “benedire”, dandoci poche istruzioni su come farlo, o sul perché questa pratica funziona. Forse il riferimento più noto è costituito dai popolari passi del Vangelo in cui Gesù descrive ai discepoli le qualità spirituali che troveranno maggiormente utili in questa vita e nell’altra: “Benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che con disprezzo vi usano” ( ). Per quanto strane queste parole possano sembrare nel mondo contemporaneo, dove è facile confondere la giustizia con il “pareggiare i conti”, si riesce a malapena a immaginare come questo modo di pensare possa essere apparso inverosimile duemila anni fa!
Nelle traduzioni rivedute, il tema compare a vari livelli negli insegnamenti di Gesù. Nel libro dei Romani ad esempio, le istruzioni riguardanti il modo in cui possiamo rispondere ad attacchi ingiustificati nei nostri confronti lascia pochi dubbi sull’intento del messaggio: “Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite”.( )
Quando sperimentiamo un evento che ci procura dolore, la sofferenza emotiva può manifestarsi in tre aree. Anche se alcune sono evidentemente più facili da gestire, vanno comunque riconosciute tutte affinché la benedizione possa avere effetto. Il potere della benedizione è proprio questo; ci evita di cadere nell’antica trappola di etichettare l’accaduto in termini di giusto e sbagliato.
“Perché benedire proprio ciò che ci ha ferito?”
Si tratta di una domanda importante, che mi sono posto anni fa quando ho verificato in prima persona il potere della benedizione. La risposta è chiara, perfino ingannevolmente semplice. Abbiamo due scelte rispetto al modo di gestire le ferite della vita: possiamo mascherarle e insabbiarle, permettendo loro sia di derubarci a poco a poco proprio delle cose che amiamo, sia, alla fine, di distruggerci; oppure possiamo accogliere la guarigione che deriva dal riconoscerle, per procedere nella vita scegliendo un’esistenza sana e vitale. Personalmente credo che questo sia l’intento dell’affermazione contenuta nel Vangelo di Tommaso, che cita: “Se porterete alla luce quello che è dentro di voi, quello che porterete alla luce vi salverà. Se non porterete alla luce quello che è dentro di voi, quello che non porterete alla luce vi distruggerà.”
Quando compiamo realmente la scelta di benedire, in ciascuna situazione vi sono tre componenti o gruppi di persone di cui tener conto. A parte le inevitabili eccezioni, molto spesso è necessario benedire chi prova la sofferenza, la causa della sofferenza e chi ne è stato testimone.
Benedire coloro che soffrono: la prima area verso cui dirigere la nostra benedizione è quella dell’evidente sofferenza provata da chi è stato ferito. In taluni casi, come per la tragedia dell’11 settembre ci si può trovare fisicamente lontani da coloro che stanno affrontando una perdita di proporzioni quasi inconcepibili. In altri casi invece, come nel caso della rottura di una promessa o del tradimento della fiducia da parte di una persona cara, la sofferenza può trovarsi proprio dentro casa, quando chi sta soffrendo siamo noi. Comunque benedire chi è fatto oggetto di sofferenza probabilmente rappresenta la parte più facile del processo di benedizione.
Benedire la causa della sofferenza, qualunque essa sia: per molti questa rappresenta la parte più difficile. Per altri invece, benedire le persone o le cose che ci infliggono ferite, ci procurano dolore e ci sottraggono le parti di noi stessi che più amiamo è talmente in linea con le tradizioni che ci hanno visti crescere, da sembrare perfettamente naturale.
Questo è il momento in cui il potere della benedizione diventa estremamente concreto nella vita. Quando riusciamo a trovare in noi stessi la capacità di benedire le persone e le cose che ci danno dolore, diventiamo persone nuove. Bisogna essere forti, per sollevarsi al di sopra di ciò che è giusto o sbagliato negli eventi che ci accadono e per affermare: “Oggi io sono qualcosa di più delle ferite del mio passato.”
Basta farlo anche una volta sola perché, nel momento in cui spalanchiamo le porte per accogliere nella nostra vita un potenziale più alto, come quello della benedizione, noi cambiamo. C’è una svolta. Dopo quella svolta non si torna più indietro … e perché mai dovremmo scegliere di tenere a lungo dentro di noi i sentimenti che ci fanno stare male, visto che invece possiamo sostituirli con sentimenti che ci guariscono?
Benedire i testimoni della sofferenza. Questa parte del processo di benedizione è la più sottovalutata. Infatti, al rapporto che si stabilisce fra coloro che soffrono e coloro che causano la sofferenza, va ad aggiungersi anche chi è stato testimone del dolore altrui. Quel testimone siamo noi, che dobbiamo riconciliarci interiormente con l’assassinio di civili e bambini innocenti in tempo di guerra, con le brutalità perpetrate contro la donna da molte società o con le conseguenze della fine dei rapporti e della disgregazione familiare.
Ciò che proviamo come individui, oltre che come collettività, riempie il vuoto di coscienza che viene a crearsi in seguito a qualunque tragedia, prescindendo dalla sua portata a livello familiare o globale. Benediciamo noi stessi in quanto testimoni!
IL MODELLO DELLA BENEDIZIONE
Per poter ricevere i benefici della benedizione, bisogna prima concederla.
Per prima cosa, trovate un luogo tranquillo dove nessuno possa udire ciò che state per dire. Poi semplicemente iniziate a pronunciare ad alta voce le seguenti parole:
Io benedico …………………………………………………………… (inserite il/i nome/i di coloro che stanno soffrendo o hanno sofferto.)
“Io benedico …………………………………………………………..(inserite il/i nome/i della persona o cosa che ha inflitto la sofferenza. E’ importante essere più specifici possibile.)
Io benedico me stesso/a, in quanto testimone.
A volte la benedizione va ripetuta una o due volte perché il suo effetto si realizzi veramente perché in questo mondo, tutti abbiamo abilmente imparato a mettere sotto chiave le nostre ferite all'interno di noi stessi. Talvolta siamo così abili nel mascherare i sentimenti scaturiti durante le nostre esperienze, che perfino noi dimentichiamo dove li abbiamo nascosti. Cercate di non scoraggiarvi se all'inizio, dopo aver formulato la vostra benedizione, vi sembra che non stia dando frutti. Potrebbero volerci un paio di tentativi per penetrare la corazza protettiva di cui vi siete circondati.
Quindi continuate a benedire. Pronunciate ad alta voce la vostra benedizione, poi ripetetela. Ripetetela nuovamente. Citate nomi, enti, persone e date precise, ogni volta che menzionate chi vi ha causato il dolore che state benedicendo. Più siete specifici, più l’accesso alla memoria della ferita che custodite nel vostro corpo fisico sarà diretto. Ripetete la benedizione finché non sentite partire dal centro dell’addome un calore che si espande progressivamente. Mentre continuate, il calore aumenterà e di diffonderà in tutto il corpo.
Non siate sorpresi se vi salissero le lacrime agli occhi e vi ritrovaste a singhiozzare. La benedizione libera così il nostro dolore, consentendogli di fluire attraverso di noi. Quando la benedizione sembrerà completa, il mondo apparirà diverso. Infatti, anche se il motivo del nostro dolore rimane, siamo noi ad aver cambiato ciò che proviamo nei suoi confronti. Questo è il potere della benedizione.
Conosco persone che, avendo scoperto il potere della benedizione, benedicono tutto ciò che le circonda! Dalle carcasse di animali schiacciati dal traffico, che stanno solo “dormendo” ai bordi della strada, fino alle notizie più dolorose della TV. Potete benedire sommessamente, molte volte al giorno. Quando sono in macchina o incrociano un’ambulanza che sta andando o tornando dall'ospedale, o perfino quando qualcuno ci supera all'impazzata lungo una stretta strada di montagna nonostante il divieto di sorpasso, per loro è ormai diventato naturale benedire. Lo fanno automaticamente come si dice “salute!” quando uno starnutisce.
La cosa che stupisce nell'atto del benedire è che il mondo non cambia; siamo noi che cambiamo! Con la nostra volontà di riconoscere e di lasciare andare qualunque cosa ci abbia feriti, il mondo comincia a sembrare diverso e noi acquisiamo più forza e salute.
Il principio della benedizione, funziona per qualunque ferita, dal livello locale a quello globale.
Recentemente ho avuto l’opportunità di mettere alla prova il potere della benedizione anche riguardo a uno degli atti più inquietanti e spaventosi che abbia mai sperimentato nella mia vita adulta. Proprio come era già accaduto, anche stavolta la benedizione è stata determinante nel permettermi di mantenere intatta la mia fiducia nel mondo e dandomi la forza di impegnarmi a fare di esso un luogo migliore di quello in cui attualmente viviamo.
Le mie esperienze di benedizione più consistenti si sono verificate nei momenti in cui ho subito delle perdite. Dalla morte improvvisa di mio padre, che ha lasciato irrisolto il nostro rapporto, alla fine di due matrimoni e al tradimento di fiducia da parte di persone a me care, io mi sento di condividere il processo di benedizione con cognizione di causa, perché so che funziona.
Prego affinché la benedizione funzioni anche per voi, diventando una vostra risorsa in tempi di bisogno.
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