L'apparire dei rifiuti mentali deve essere considerato un buon segno: non dobbiamo agire spinti da questi rifiuti, ma nemmeno dobbiamo reprimerli o assecondarli; dobbiamo osservarli. La paura, la stoltezza, la stupidità, i sentimenti irrazionali, la rabbia repressa, tutti gli scarti che possiamo avere represso: possiamo diventarne pienamente consci, il che significa che abbiamo la possibilità di lasciare andare tutto ciò, piuttosto che respingerlo. La nostra meditazione, allora, può consistere semplicemente, a volte, nel convivere pacificamente con una mente che chiacchiera, con la stupidità, col pensiero irrazionale: semplicemente osserviamo quello che c'è, con pazienza, come un testimone silenzioso. Non stiamo osservando un io, non è una cosa personale, è semplicemente un insieme di condizioni alle quali non è mai stato concesso, in passato, di divenire consce, ma piuttosto sono state riposte lontano dalla coscienza. In altri termini, queste condizioni continuavano lo stesso ad avere una forza karmica e continuavano a influenzarci. Ma quando consentiamo a queste condizioni di assumere una forma conscia, allora la forza karmica finisce. Ciò significa che ci liberiamo dal peso di quella forza karmica repressa, non ci blocchiamo né scappiamo, piuttosto ci permettiamo di vedere le condizioni. Queste condizioni non vengono viste come cose personali, e dunque non stiamo guardando un essere sentimentale e folle.
Dobbiamo essere molto pazienti, pronti a sopportare l'odore dei rifiuti fino a quando non vanno via. Un modo abile per sopportare le cose spiacevoli, le cose per le quali siamo portati ad avere avversione o dalle quali siamo intimoriti, è quello della benevolenza. La pratica della benevolenza è un mezzo adatto: questo genere di amore consiste in una gentile sopportazione. Generalmente usiamo la parola 'amore' come interscambiabile con la parola 'piacere', come se queste due parole significassero la stessa cosa: se ci piace qualcosa, spesso noi diciamo di amarla, ma in questa pratica di benevolenza non è necessario che la cosa ci piaccia: ciò che avviene in questa pratica è che, semplicemente, non proviamo avversione nei confronti della cosa. È più un amore nel senso cristiano della parola e consiste nell'accettare una situazione, senza soffermarsi su ciò che non va e sui suoi difetti. La benevolenza consiste nella capacità di essere gentili e delicati con ciò che non ci piace, poiché è facile essere gentili e delicati con ciò che ci piace, anzi, è piuttosto piacevole. È difficile essere scortesi con le persone che ci piacciono, mentre può non essere affatto difficile esserlo con chi ci è antipatico. Lo stesso accade con le cose e le condizioni: se appaiono nella mente alcune cose brutte e spiacevoli, pensiamo: "Detesto questa cosa! Vattene via!". Questa non è benevolenza. Ma se qualcosa di cattivo e spiacevole si presenta alla nostra mente e usiamo la gentilezza, allora possiamo accettarla con piena coscienza e possiamo poi lasciarla andare. Non colpiamo quella cosa, non tentiamo di farne qualcosa, né la sua presenza ci turba. Per questo la benevolenza è un mezzo adatto per riuscire a sopportare ciò che normalmente non sopporteremmo.
Innanzitutto dobbiamo cominciare a praticare la benevolenza su noi stessi, poiché se odiamo noi stessi tenderemo a odiare anche gli altri, e qualsiasi sentimento gentile per il nostro prossimo sarebbe soltanto un sentimentalismo superficiale. Questo tipo di sentimento non è reale gentilezza perché scaturisce da un concetto. Noi generiamo benevolenza verso noi stessi non creandoci problemi per le azioni compiute in passato, e nemmeno trasformiamo in problemi la stupidità dei nostri pensieri, le nostre opinioni e le nostre credenze. Non creiamo nessun senso di colpa, nessun rimorso e nemmeno nessun odio nei nostri confronti. Possiamo persino praticare la benevolenza nei confronti del dolore che ci può accadere di sentire quando sediamo a lungo in meditazione: questo significa essere gentili nei confronti del dolore, non provare avversione, non preoccuparsi e nemmeno provare il desiderio di sbarazzarsene.
Possiamo commettere un errore, forse possiamo dire qualcosa di sbagliato e, invece di sentirci in colpa e odiarci, perdonarci per avere dei punti deboli, non giustificando le debolezze, ma nemmeno facendone un problema. Avere una paziente gentilezza per le parti inaccettabili della nostra mente, significa voler consentire alle cose spiacevoli di esistere, e permettergli di seguire il loro corso naturale verso la cessazione.
Quando usiamo benevolenza nei nostri confronti, allora possiamo averne anche per gli altri e convivere con la gente senza provare avversione nei confronti di coloro che non sono gentili o che non approviamo. Quando non c'è benevolenza possiamo pensare: "Vorrei che non fossero così, che non facessero questa cosa". Ma quando abbiamo benevolenza possiamo tollerare i problemi del mondo e, allo stesso tempo, esserne pienamente consapevoli. Non che ci debba piacere ciò che non ci piace, il punto è, piuttosto, di permettere a ciò che non ci piace di esistere e di essere disposti a conviverci pacificamente e poi lasciarlo andare.
Praticare la benevolenza non significa usare il sentimento, ne è sufficiente pensare semplicemente alla benevolenza. Praticare la benevolenza significa resistere, consentire a ciò che è spiacevole di essere spiacevole, stare attenti allo spiacevole senza permettere alla mente di scivolare nell'avversione. Come riuscirci? Facciamo un esperimento con il dolore fisico: quando sentiamo un disagio possiamo avere benevolenza verso questo disagio, consentendo al dolore di esistere, convivendoci realmente in pace, senza creare nella nostra mente nessun problema. Concentriamoci sul dolore e conviviamoci senza un atteggiamento guidato dal desiderio di liberarcene.
Ci sono persone che si portano dietro una grossa clava da uomo delle caverne, sulla quale c'è scritto 'benevolenza', e pensano: "Se colpisco questo dolore con la benevolenza, il dolore andrà via". Ma non dobbiamo usare la benevolenza con l'intento di liberarci delle cose, dobbiamo usarla per ricordarci di essere estremamente pazienti con tutto ciò che di spiacevole c'è nella vita, le brutture, il dolore, le delusioni, i disinganni, gli insuccessi.
Quando non creiamo nulla nella mente, allora la mente si fa chiara. La mente in se stessa, la mente originaria e incondizionata, è chiara, luminosa e serena, e può contenere tutto. Possiamo permettere a tutti i rifiuti dell'universo di attraversare la mente originaria, non ne riceverebbe alcun danno: nulla può macchiare o danneggiare la mente originaria.

del venerabile Ajahn Sumedho
da Petali di Loto