Ho notato che nelle vostre domande parlate spesso della SOFFERENZA e la domanda più importante, parlando di metamorfosi, di cambiamento è se si possa cambiare senza soffrire. La sofferenza non è la condizione necessaria al cambiamento nel nostro universo, questo è certo, ed è una testimonianza che ho raccolto presso alcuni Maestri; ma è altrettanto evidente che il nostro Pianeta da milioni di anni è in una dinamica di auto-avvelenamento che fa sì che la sofferenza sia diventata praticamente una necessità, come se fosse stata una scelta fatta da una certa famiglia di anime all’interno del nostro cosmo per esplorare anche queste possibilità di crescita.
Sulla nostra Terra siamo come bloccati da questa dinamica e come il serpente che fa la muta, perde la sua pelle e soffre per passare ad un’altra fase della sua vita, come la farfalla che esce dal suo bozzolo per volare, così le sofferenze sono quasi inevitabili sulla Terra. Il problema è quello di non rimanere sulle nostre sofferenze ed è per questo che i Maestri di Saggezza ci insegnano come posare o meno un certo tipo di sguardo sulla vita e su noi stessi, perché la frusta con cui ci scuotono regolarmente ci dice che non dobbiamo rimanere fermi nelle nostre difficoltà. Per la maggior parte del tempo creiamo delle “cisti” mentali, dei nodi nei nostri ragionamenti rispetto alla visione di noi stessi, che sono dei punti di fissazione; creiamo in noi l’idea fissa della sofferenza, la alimentiamo e
non riusciamo più a staccare il nostro naso dalle difficoltà della vita: questa è la “vittimite”. Siamo in un mondo in cui abbiamo imparato un po’ troppo, specie in Occidente, in cui abbiamo un certo comfort ma in cui coltiviamo una sofferenza morale, interna ed abbiamo preso l’abitudine di grattarci le ferite. Di solito quando grattate una ferita o una piaga, essa si infetta e, di fronte alle nostre difficoltà, spesso agiamo in questo modo. Abbiamo una specie di incapacità ereditaria a distogliere il nostro sguardo dal fondo della nostra piaga e questo è un handicap di cui dobbiamo cercare di liberarci se davvero desideriamo cambiare marcia. Più guardiamo la sofferenza e più la rendiamo importante; non vi sto dicendo di negare la sofferenza ma di vedere, in modo più lucido, cosa ci sta insegnando, ad ogni livello della nostra vita. Quando viviamo uno sconvolgimento, chiediamoci che cosa tocca in noi. Ci troviamo, per esempio, improvvisamente da soli nella vita ma, invece di lamentarci di questa solitudine se almeno potessimo chiederci perché la vita ci manda questa prova e quale tipo di qualità essa coltiva in noi, allora sì che faremmo un buon lavoro!
“Cerca di sviluppare la mia volontà o di coltivare lo spirito di indipendenza, di farmi definire
meglio i miei scopi?”. Tutto è possibile. La cosa certa è che le grandi prove che ci attendono ed i grandi cambiamenti che viviamo sono degli eventi che la nostra Coscienza Superiore ha programmato e voluto nella nostra vita, per cui una parte di noi è stata d’accordo nel programmare queste cose ed è quello che dobbiamo cercare di ricordarci. Ci siamo messi di fronte ad una situazione piuttosto che ad un’altra perché l’abbiamo cercata, provocata; abbiamo messo in moto, a volte molto tempo prima, una rete molto complessa di pretesti, di riflessi, di piccoli atti della vita quotidiana che hanno fatto sì che, ad un certo punto, ci trovassimo ad un appuntamento con noi stessi, ad un punto di rottura. Se smettessimo di considerare questo punto di rottura come una fatalità e lo vedessimo come una fortuna per un cambiamento, la sofferenza generata dalla rottura
non sarebbe più un punto fisso dal quale non riusciamo ad uscire ma sarebbe percepita come un trampolino verso altro. So che è facile parlarne; sono passato anch’io attraverso delle prove nella mia vita per sapere che non ne usciamo solo con la decisione ma penso che dobbiamo mettere profondamente in noi delle riflessioni di questo tipo, dobbiamo coltivare questo tipo di sguardo, di prospettiva in modo tale che, quando la prova si presenta, non siamo così sprovveduti e demoliti come lo siamo di solito. Sapete che nella nostra vita come nell’Universo intero, tutto ciò che ha un inizio ha anche una fine; appena iniziate qualcosa, un lavoro, una relazione, un modo di pensare, siate certi che prima o poi dovrete abbandonarla perché questa è una regola a cui non si sfugge.
L’unica cosa che non ha né inizio né fine è la Presenza Divina in noi; è l’unico punto fisso, l’unico attracco, e se vogliamo ridurre semplicemente il messaggio dei Maestri di Saggezza ad un’espressione: <Centratevi su chi siete davvero, in realtà, piuttosto che su tutte le manifestazioni della vita, sul motore che mettete in moto in voi e attorno a voi. Che Dio prenda tutto in posto!>.
Questo è il lavoro di ogni istante!
da un seminario di Daniel Meurois-Givaudan