Una volta all’anno, zingari di varie parti del mondo si
mettono in movimento per raggiungere Saintes-Maries-de-la-Mer, nel sud
della Francia, e rendere omaggio a Santa Sarah. Secondo la
tradizione, Sarah era una zingara che viveva in una piccola città di
mare quando la zia di Gesù, Maria Salomè, vi approdò con altri profughi
per sfuggire alle persecuzioni romane. Sarah li aiutò, e finì per
convertirsi al cristianesimo.
Durante la festa a cui ho potuto assistere, alcune
parti dello scheletro di due donne che sono seppellite sotto l’altare
vengono prese da un reliquario ed esposte per benedire la folla con i
suoi abiti colorati, le sue musiche e i suoi strumenti. In seguito,
l’immagine di Sarah, abbigliata con dei bellissimi mantelli, viene
fatta uscire da un locale attiguo alla chiesa (dato che il Vaticano non
l’ha mai canonizzata) e portata in processione fino al mare,
attraverso le viuzze coperte di rose. Quattro zingari, in abiti
tradizionali, mettono le reliquie in una barca piena di fiori, entrano
in acqua e inscenano nuovamente l’arrivo dei fuggiaschi e l’incontro
con Sarah. Da quel momento in poi, tutto è musica, festa, canti, e
dimostrazioni di coraggio davanti a un toro.
È facile identificare Sarah come una delle tante
vergini nere che si possono incontrare nel mondo. Sara-la-Kali, dice la
tradizone, era di nobile lignaggio e conosceva i segreti del mondo.
Dovrebbe essere, a mio avviso, una delle tante espressioni di quella
che si definisce la Grande Madre, la Dea della Creazione.
Il festival di Saintes-Maries-de-la-Mer attira sempre
più gente che non ha niente a che vedere con la comunità zingara.
Perché? Perché il Dio Padre è sempre associato al rigore e alla
disciplina del culto. La Dea Madre, invece, mostra l’importanza
dell’amore al di sopra di tutte le proibizioni e i tabù che conosciamo.
Il fenomeno non è una novità: ogni volta che la
religione irrigidisce le proprie regole,un gruppo consistente di
persone tende a ricercare maggiore libertà nel contatto spirituale.
Questo è accaduto nel Medio Evo, quando la Chiesa Cattolica si limitava
a istituire imposte e costruire conventi lussuosi; per reazione,
abbiamo visto il sorgere il un fenomeno chiamato “stregoneria” che,
sebbene represso per via del suo carattere rivoluzionario, ha lasciato
radici e tradizioni che sono riuscite a sopravvivere per tutti questi
secoli.
Nelle tradizioni pagane, il culto della natura è più
importante della riverenza verso i libri sacri: la Dea sta in tutto, e
tutto fa parte della Dea. Il mondo è solo un’espressione della sua
bontà. Ci sono molti sistemi filosofici – come il taoismo o il buddismo
– in cui è bandita l’idea della distinzione tra il creatore e la
creatura. Lì non si tenta più di decifrare il mistero della vita, bensì
di farne parte.
Nel culto della Grande Madre, quello che chiamiamo
“peccato”, generalmente una trasgressione di codici morali arbitrari, è
assai più flessibile. I costumi sono più liberi, perché fanno parte
della natura e non possono essere considerati come frutti del male. Se
dio è madre, allora non dobbiamo soltanto unirci agli zingari e
adorarla attraverso dei riti che tendono a soddisfare la sua anima
femminile – come la danza, il fuoco, l’acqua, l’aria, la terra, i
canti, la musica, i fiori, la bellezza.
Negli ultimi anni questa tendenza sta crescendo in
misura enorme. Forse ci troviamo in un momento molto importante nella
storia del mondo, in cui finalmente lo Spirito si integra con la
Materia, i due si unificano e si trasformano.
( dal blog di Coelho)
